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Riassunto: Webinar organizzato dalla Società Felsinea di Orchidofilia il 10 ottobre 2020. Il presidente Daniel Klein tratta di due patogeni molto comuni sulle orchidee, gli oomiceti Pythium e Phytophthora e delle patologie che causano. Si parla inoltre dei corretti ambiti di utilizzo del Previcur Energy, fitofarmaco molto noto in ambiente orchidofilo.

Abstract: Webinar organized by the Società Felsinea di Orchidofilia on 10 October 2020. President Daniel Klein discusses about two very common pathogens on orchids, the oomycetes Pythium and Phytophthora and the diseases they cause. In addition, the correct application guidelines for Previcur Energy, a well-known fungicide among orchid lovers, are discussed.

Perché dedicare un webinar e un articolo al Previcur? Basta frequentare un minimo i social o i forum e si nota abbastanza presto che, non appena si parla di funghi o presunti tali, è un nome moltissimo conosciuto e non meno consigliato, presentandolo, di fatto, come un prodotto di primo soccorso per le nostre adorate orchidee. Ma, effettivamente, questo Previcur è veramente così utile e versatile oppure la situazione è più sfumata e irta di distinguo? Ovviamente, dato che stiamo parlando di orchidee con annessi e connessi, è inevitabilmente la seconda. Ma vediamo di capire un po’ meglio la situazione.
Una storia di quasi alghe ma non di funghi.

Prima di parlare del Previcur bisogna focalizzarsi su dei microrganismi bizzarri, che nella vecchia letteratura scientifica erano ritenuti funghi ma poi si sono rivelati molto più simili a delle alghe: in parole povere gli oomiceti. A noi orchidofili interessano in particolare due generi di questa vasta classe, forse fin troppo familiari, almeno per sentito dire: il Pythium e la Phytophthora.

Il Pythium (dal greco latinizzato πύθω “pýtho”, “far marcire”) è un genere molto ricco di specie, circa 300, molte delle quali sono saprofaghe o patogene opportuniste delle piante che, quando hanno l’occasione di attaccare, causano un’ampia varietà di malattie, per di più marciumi, come rivela il nome. Il Pythium si trova comunemente nel suolo, nella sabbia, in varie fonti d’acqua (tanto acqua dolce stagnante quanto estuari di acqua salata) e nella parte morta e in decomposizione delle piante; è democraticamente distribuito in tutto il mondo e sulle orchidee è molto noto il Pythium ultimum, più che altro perché è una delle specie maggiormente pestifere e quindi accuratamente monitorata e studiata, anche su molte altre piante.
In realtà ci sono varie specie di Pythium che possono far danno sulle orchidee e ne vengono attestate perfino di nuove, come il Pythium vexans che dal 2002 flagella le piantagioni di Dendrobium (letteralmente piantagioni, in questo caso sono coltivati a scopi medicinali o alimentari) nel distretto di Simao nello Yunnan meridionale, in Cina. Se volessimo essere puntigliosi, lo stesso Pythium ultimum si è rivelato essere un complesso di specie, più che una specie singola, ancora in corso di definizione tassonomica. Insomma, c’è ancora molto da studiare.

Il Pythium sulle orchidee si può manifestare in molti modi: forse quello più noto e palese è il famoso “marciume nero” (black rot nella letteratura anglosassone): si tratta dello sviluppo di macchie nere che possono manifestarsi su ogni parte della pianta (pseudobulbi, foglie, fusto, radici…). Caratteristica di questo marciume è la rapidità: le lesioni all’inizio passano inosservate, sembrano piccole e minute macchie verdi che, tuttavia, si ingrandiscono e diventano giallo chiaro man mano che crescono e, infine, diventano marroni o nere. Il problema è che queste lesioni, in condizioni ottimali si possono allargare anche di 5 o più centimetri al giorno, persino più rapidamente su tessuti giovani. In meno di una settimana una pianta adulta è bell’e spacciata, una pianta giovane in molto meno tempo, anche un paio di giorni.

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DANIEL KLEIN

Daniel Klein, presidente della Società Felsinea di Orchidofilia,orchis_2_2021_ridotto è laureato in Storia medievale, ma è da sempre affascinato dalle piante, cui si sono aggiunte le orchidee e la patologia vegetale durante gli anni dell’università, passione approfondita prima con un uditorato presso la facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, poi con un master focalizzato sulla fitopatologia conseguito nel 2018, sempre presso la stessa università. Adora collezionare piante affette da virosi, con grande sgomento dei suoi amici.

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Marciume nero (black rot) da Phytophthora palmivora su Cattleya ibrida, stadio iniziale. Da notare la particolare colorazione nerocarbone della macchia, tipica di Pythium e Phythophthora

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C’è inoltre da menzionare il non meno famoso “marciume del colletto” (crown rot nella letteratura anglosassone): di fatto è un tipo di marciume nero che interessa la zona del colletto della pianta. Anche in questo caso, il decorso è molto rapido e quando ci si accorge dell’infezione spesso è troppo tardi: la pianta o perde le foglie, che ingialliscono e cadono rapidamente una a una, oppure può capitare di vederla letteralmente cadere di lato con le foglie ancora verdi, perché il Pythium ha eroso il colletto così in fretta che le foglie non hanno avuto il tempo di ingiallire e perché il colletto, ormai irrimediabilmente marcio, non riesce a sostenere il peso della parte soprastante e cede.

Strettamente affine al Pythium è la Phytophthora. Anche qui l’etimologia è rivelatrice: dal greco φυτόν “phytόn”, pianta, e φθορά “phthorá”, distruzione. Si tratta di un genere con più di cento specie, in continua scoperta e diffuso anch’esso in tutto il mondo e molto comune come suo cugino Pythium. Ma, per semplificare in manierabarbitraria e per rendere meglio l’idea, mentre il Pythium è per di più un patogeno opportunista (cioè attacca piante deboli o ferite e non necessariamente ha bisogno di un ospite per sopravvivere), la Phytophthora è un patogeno spesso maggiormente specializzato, tecnicamente un parassita obbligato, e, quando colpisce, lo fa in grande stile: per dire, la Phytophthora infestans è stata responsabile della Grande Carestia d’Irlanda del 1845-1846, facendo rapidamente strage delle piantagioni di patate e costringendo milioni di irlandesi alla fame o all’emigrazione forzata.

Anche se ci sono molte specie che sfuggono ancora alla nostra attenzione (come per il Pythium, ricordate?), noi orchidofili dobbiamo

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preoccuparci per di più della Phytophthora cactorum, della Phytophthora nicotianae (sinonimo Phytophthora parasitica, che comunque è un complesso di specie); e della Phytophthora palmivora.
Anche queste specie causano il marciume nero (il black rot di prima), ma si manifestano in modo leggermente diverso e, se possibile, in maniera perfino più rapida (sempre se le condizioni ambientali lo permettono). Per la Phytophthora, altre al marciume nero spesso si parla anche di spike rot (marciume dei nuovi getti) e/o di top rot (marciume apicale): le nuove vegetazioni muoiono rapidamente, diventando giallo senape e poi marrone scuro o nere; questo scolorimento avanza lungo il fusto in modo molto simile al marciume nero. Questa malattia può anche iniziare alla base del fusto e diffondersi verso l’alto dando luogo alla stessa decolorazione marrone scuro o nera del fusto, oppure avanzare lungo il rizoma e colpire gli altri pseudobulbi su piante simpodiali (un comportamento praticamente identico rispetto al “classico” marciume nero). Ricordo inoltre che quando un marciume prende piede, è soprattutto una porta d’accesso ad altri microorganismi, che possono sovrapporsi agli oomiceti e creare delle infezioni miste, spesso più gravi e difficili da trattare.

Gestire gli oomiceti?

Anche qui si possono fare delle semplificazioni arbitrarie: il Pythium predilige temperature più fresche ma miti come quelle della primavera e dell’autunno, oppure anche in inverno nelle nostre case riscaldate, mentre la Phytophthora predilige maggiormente il caldo estivo. Ambedue però gradiscono una forte umidità, aria stagnante e substrati poco drenanti e/o bagnati troppo spesso.

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Marciume nero (black rot) da Phytophthora palmivora su Cattleya ibrida, stadio finale con abscissione delle foglie.

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Una prima linea di difesa è proprio evitare queste condizioni: se si ha un orchidario, grow box, serra o ambiente
chiuso in generale, si dovrebbe almeno aumentare la ventilazione per evitare situazioni di ristagno prolungato di aria e inoltre avere cura di usare substrati maggiormente drenanti; oppure controllare periodicamente lo stato del substrato per assicurarsi che non si sia decomposto, trattenendo così più acqua e facendo circolare meno aria e di conseguenza soffocando le radici e spianando la strada agli oomiceti e altri patogeni. Una cosa spesso sottovalutatissima è il “bagnetto comunitario” alle piante: gli oomiceti producono delle spore che sono fatte per nuotare nell’acqua (hanno dei flagelli) e cercare il bersaglio (riconoscono gli essudati radicali per dirigersi con precisione alle radici delle piante, dove si incistano, per poi iniziare l’infezione). Oppure, semplicemente, colonizzeranno il substrato (specialmente se organico), dove si nutriranno di materia in decomposizione oppure produrranno delle strutture di sopravvivenza che rimarranno in ibernazione, comodamente in attesa del momento propizio per colpire. E anche questo è un ottimo motivo per non riutilizzare del substrato usato, anche se sembra ancora perfetto.

E il Previcur?

Abbiamo preso in esame le orchidee, ma anche in molte altre piante gli oomiceti fanno danni notevoli, e più la pianta è giovane, prima soccombe: è il caso della “moria dei semenzai” (dampingoff nella letteratura anglosassone), un vero e proprio flagello delle coltivazioni in serra (dove è molto facile che ci siano condizioni di alta umidità, temperature miti e aria stagnante, un paradiso per gli oomiceti).
Non è questa la sede per parlare della storia della lotta chimica agli oomiceti, ci basta arrivare alla metà degli anni Ottanta del Novecento, quando fu immesso sul mercato un nuovo fitofarmaco espressamente tarato su questi organismi, il Previcur, prodotto dalla Bayer. In Italia il Previcur fu autorizzato il 27 marzo 1984 e, seppure con qualche modifica, è ancora lì.
Questo fitofarmaco originariamente era costituito da del propamocarb in concentrazione del 66,5%; questo particolar principio attivo risale ai tardi anni Settanta e si dimostrò particolarmente efficace nei confronti di alcuni oomiceti (compresi i nostri Pythium e Phytophthora). Come ulteriore bonus, mostrava una bassissima tossicità nei mammiferi e negli organismi acquatici e non era un inquinante particolarmente aggressivo nei suoli perché veniva degradato completamente dalle piante e dai batteri del suolo nel giro di pochi giorni, circa una settimana. Insomma, un prodotto quasi troppo bello per essere vero e, soprattutto, molto meno tossico e decisamente meno inquinante rispetto a molti dei prodotti allora usati nella lotta contro gli oomiceti.
Nel 2004 la formulazione è stata aggiornata miscelando al propamocarb anche del fosetil alluminio, aggiornandolo al più recente Previcur Energy; in questo caso il propamocarb è in concentrazione del 47,3%, mentre il fosetil alluminio del 27,7%.
Anche il fosetil si caratterizza per essere molto poco inquinante (si degrada rapidamente in composti non tossici nel suolo; risulta tuttavia stabile in acqua ma, fortunatamente, poco tossico per la vita acquatica) e risulta tossico sui mammiferi solo in concentrazioni molto alte e per lassi di tempo prolungati (ma parliamo nell’ordine di 250 mg per chilo nell’arco di non meno di due anni in base a test su ratti e cani). Il fosetil alluminio si trova tutt’oggi anche in commercio anche “da solo”, commercializzato come Aliette, alla concentrazione dell’80%, sempre per rimanere in ambito Bayer.
Mentre il propamocarb è un fungicida “duro e puro”, il fosetil alluminio è un qualcosa di più complesso: semplificando molto, ha paradossalmente una più debole azione fungicida rispetto al propamocarb, ma il suo maggior pregio sarebbe la stimolazione della produzione, da parte della pianta, di una serie di sostanze chimiche di difesa, per esempio fitoalessine e fenoli, che aiutano la pianta a reagire più efficacemente in caso di infezione.

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E quindi?

Anche se siamo andati molto di fretta e con molte semplificazioni, possiamo trarre alcune conclusioni: la più importante è che il Previcur Energy non è un fungicida universale o “ad ampio spettro” essendo specifico su (alcuni) oomiceti ma non sui “funghi-funghi”; per questi ultimi ci sono altri prodotti che bisogna valutare caso
per caso. Ma allora perché è così consigliato? Prima di tutto, per il classico copia-incolla da forum e social, che si è tradotto in un vero e proprio boom nei primi anni Duemila. In seconda battuta perché, a differenza di altri principi attivi nel frattempo ritirati dal commercio oppure scoperti come decisamente pericolosi per la salute degli appassionati, come Mancozeb, Benomil, Iprodione e compagnia brutta, il Previcur è ancora vivo e lotta insieme a noi.
Ecco perché ancora oggi è ampiamente suggerito, specialmente quando si vedono macchioline nere sospette: il problema sta nel fatto che in fitopatologia sintomi apparentemente simili possono essere causati da agenti patogeni molto diversi fra loro; ed ecco perché, se notiamo per esempio un marciume del colletto allo stadio iniziale, possiamo curarlo facilmente, mentre per altri tipi di marciumi possiamo inondare la pianta di Previcur Energy ma con scarsi o nulli effetti. Probabilmente non si trattava di oomiceti, quindi il propamocarb era inefficace, e il fosetil alluminio da solo non è bastato a rafforzare la pianta a sufficienza.
Ma non disperiamo! È comunque una buona abitudine avere il Previcur Energy sempre a portata di mano perché gli oomiceti su orchidee sono molto comuni e, specialmente in ambienti poco arieggiati o nel caso di prolungati ristagni d’acqua, le possibilità di trovarsi una loro infezione sono tutto men che trascurabili; e ricordiamoci che bisogna agire in fretta. Un’altra buona abitudine è il trattamento con Previcur su piante appena deflaskate, sia per evitare il famoso damping-off accennato in precedenza, sia perché il fosetil alluminio aiuta le giovani piantine a produrre delle sostanze di difesa molto utili durante le prime, delicate, fasi post deflask; tuttavia se si vuole provare a rafforzare le difese chimiche della pianta è casomai consigliabile usare direttamente l’Aliette dato che, anche se contiene ugualmente del fosetil alluminio, la concentrazione è praticamente tripla rispetto al Previcur Energy a parità delle dosi indicate in etichetta.

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PER SAPERNE DI PIÙ

G. Agrios, Plant Pathology, V ed., Amsterdam, 2005.

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