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Conferenza tenuta da Riccardo Cucchiani e Gioele Porrini domenica 29 settembre 2019 a Varese Orchidea 2019.

L’associazione Utopia Tropicale ha sede a Comerio e nasce dall’idea di promuovere un giardinaggio botanico in continuità con le esperienze del passato. Varese è stata dal 1850 fino al 1920 circa un luogo di sperimentazione botanica tra il lago di Como e il Lago Maggiore; molte delle piante che sono andate ad arricchire i giardini dei laghi sono passate per Varese: questo si nota bene nei parchi e nelle ville storici, dove gli alberi piantati nell’Ottocento sono quelli che hanno creato i giardini. Utopia Tropicale nasce dall’idea di promuovere un giardinaggio dall’aspetto esotico, quindi con specie esotiche, in un clima freddo. Sembra una scommessa, sembra una cosa particolarmente nuova, ma in realtà tutte le specie che vediamo nei giardini storici sono esotiche: ci siamo abituati a loro a distanza di cento-centocinquanta anni, ma in realtà sono tutte piante che non provengono dall’Europa. L’associazione si è occupata del restauro di una serra del 1850 a Comerio con tre scopi principali. Il primo è quello di avere un luogo per la sperimentazione botanica, tornare ad avere un luogo per poterla fare. Il secondo scopo è quello della didattica: l’associazione crede fortemente che bambini siano il punto d’inizio, sono loro che devono avere il primo rapporto con la natura che deve essere dato con un’alta qualità culturale fin da subito; è fondamentale far capire loro cosa stanno facendo. Il terzo scopo è la divulgazione: siamo convinti che bisogna, anche se con fatica, insistere e spiegare quali sono le relazioni tra l’uomo e il giardino e le relazioni tra l’uomo e la coltivazione delle piante.L’immagine di Henri Rousseau il Doganiere con le sue foreste immaginarie evoca paradisi lontani, arcaici. Nell’uomo occidentale c’è un’idea di giungla radicata nel suo inconscio che possiamo chiamare foresta atavica. Quando Riccardo a 18 anni è entrato in una stanza del Musée d’Orsay di Parigi, dov’era presente un quadro di Henri Rousseau che rappresentava una foresta, è rimasto stupito perché quella foresta la conosceva, era la foresta in cui giocava da bambino, era il luogo dove ricercava gli animali fantastici della sua mente, proprio come Rousseau, che dipingeva foreste senza averle mai viste, frutto della sua immaginazione. A Parigi ha riconosciuto qualcosa di familiare in quel quadro: molto probabilmente esiste una foresta dentro di noi, una foresta che è radicata nel bambino, radicata nel genere umano, perché probabilmente è il luogo da cui proveniamo. Coltiviamo piante per ricreare nelle nostre case o nei nostri giardini il luogo dell’infanzia. Crescendo alcuni chiudono il reparto dell’infanzia e quasi non se ne ricordano più; altri continuano ossessivamente a ricostruirlo. Riccardo ci ha spiegato che quel luogo è dove giocava da bambino, oggi è quello che cerca di coltivare, un domani sarà il posto dove vorrebbe perdersi…

 

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Perché l’ALAO e Utopia Tropicale nascono a Varese? Sembra che non abbiano nulla in comune: l’ALAO è nata molti anni fa, con una storia tutta sua legata al mondo delle orchidee; Utopia Tropicale invece è nata pochi anni fa. Entrambe però nascono nello stesso territorio, perché questa relazione forte che ha il Varesotto con la coltivazione delle piante esotiche è un valore che esiste ed è radicato da più di cento anni. Non è una casualità che l’ALAO nasca a Varese, non è una casualità che molti coltivatori di orchidee siano di Varese, non è una casualità che si voglia ancora proporre un giardinaggio botanico nei nostri luoghi.

Un altro esponente oggi molto meno letto e molto meno studiato di queste foreste dell’infanzia è sicuramente Emilio Salgari, altro uomo incredibile. Nasce a Verona e vive tra Verona, Genova e Torino, senza uscire mai dall’Italia. Scrive per tutta la sua breve vita – si suicida a 49 anni – di foreste che si inventa, inventa Sandokan, inventa la Malesia. In realtà si documentava e descriveva nel dettaglio le foreste, senza averle mai viste dal vivo. È il secondo caso abbastanza enigmatico che ci fa capire che esiste una foresta in alcune sensibilità, non in tutti gli uomini; è un lato affascinante perché lega l’esistenza del giardino all’uomo in maniera forte: il giardino è un luogo chiuso dove l’uomo ha la possibilità di incontrare in un rapporto intimo la natura. Quando andiamo in montagna, in un bosco stiamo bene, ma c’è sempre qualche cosa di sinistro, non saremmo tranquilli a passare la notte in quel luogo. Invece il rapporto intimo tra uomo e giardino è casa, è costruito su un’idea umana; quando si coltivano le orchidee in serra c’è la stessa familiarità, le piante sono messe in un certo modo dall’uomo e creano un ambiente che ci fa star bene. La serra di Comerio era vuota e diroccata, non c’era nulla e ci sono voluti cinque anni di lavoro.
Oggi sono coltivate 250 specie botaniche e sono presenti solo piante che possiamo trovare in natura. Queste sono disposte in una forma totalmente spontanea e naturale, coltivate come se fossero in una foresta. Lì si insegna a seminare ai bambini, che hanno lo stupore di entrare in un ambiente naturale, anche se si tratta in realtà di una finta foresta cesellata centimetro per centimetro per costruire lo stesso immaginario salgariano o di Rousseau, l’idea occidentale di foresta. Ovviamente se andiamo ai tropici o all’equatore non troviamo questo tipo di ambiente, non lo troviamo da nessuna parte: chi ha la possibilità di visitare le foreste vere si accorge subito che in realtà sono molto diverse dall’idea che ci facciamo tutti e che replichiamo nelle serre. Quando si costruisce un giardino si lavora come fa un pittore: si crea una composizione che una volta fotografata sembra un quadro; è un’idea occidentale del giardino che in natura non esiste. Proprio questo è il fascino delle serre; la serra inoltre lavora su tutti i sensi dell’uomo: quando si entra l’immagine è fortissima, la luce entra tangenziale e va a colpire le piante in maniera particolare creando delle ombre, l’acqua crea atmosfera e l’odore è diverso. La più grande soddisfazione è vedere che, quando i bambini entrano in questo luogo, per prima cosa dicono «Wow»; anche i bambini di oggi, che vivono con la tecnologia e in un mondo molto diverso da quello naturale, provano comunque la stessa emozione, perché gli anni della foresta atavica sono vividi, sono ancora in una relazione uomo-natura molto stretta: crescendo o si rimane dei pazzi innamorati delle piante o questo ciclo si chiude. Spesso oggi si creano giardini per solo perché siano mostrati e non per una ricerca interiore, o, meglio, questo aspetto non è così forte. Quando si è cominciato a mettere mano alla serra, Riccardo apprezzava le orchidee, ma non leconosceva approfonditamente e non le coltivava ancora. Con la nascita di Utopia Tropicale, il progetto utopico è stato quello di avere una serra fredda a basso costo di manutenzione, dove ricreare l’effetto tropicale esotico ma senza riscaldamento. Nella serra sono ora presenti piante tropicali e subtropicali, scelte a tavolino con fatica, provenienti dalle montagne, quindi tutte piante abituate alle basse temperature. In questa scelta inizialmente le orchidee erano state escluse a priori, pensando che queste non potessero stare in temperature che oscillano tra 1,8-3,4 °C come minime assolute invernali, registrate in questi quattro anni, e massime estive di 35-38 °C. Dopo aver conosciuto a una conferenza di Utopia Tropicale Gioele Porrini, allora semplice amatore di orchidee, si è scoperto che era possibile introdurre orchidee nella serra, effettuando una sperimentazione su di loro. Il Epidendrum ibaguense fine non era far sopravvivere le orchidee, ma farle vivere: avere una pianta che stenta per anni appesa a un ramo non avrebbe avuto senso. Inoltre, la richiesta di Riccardo a Gioele era che non fossero coltivate in vaso, ma con un effetto naturale utilizzando i tronchi come supporti: l’effetto non deve essere quello di una serra di vendita o di coltivazione tradizionale, ma quello naturale, per far vivere un’emozione unica ai visitatori. Questo rendeva ancora di più complessa la situazione, perché per coltivare bene un’orchidea legata a un tronco bisogna tenere conto della gestione dell’acqua, dei trattamenti, della luce e della ventilazione. La gestione inoltre non è pensata per un solo genere di piante, ma per un insieme: irrigare una serra di questo tipo è molto complesso perché ci sono generi di piante diversi che vengono da parti del mondo differenti, tutte messe insieme per ottenere un effetto estetico, ma che causano una gestione complicatissima. Dietro al risultato che vediamo in realtà c’è un grande lavoro di gestione; per esempio ci sono parti della serra con irrigazione automatica e parti irrigazione automatica e parti dove questa viene fatta manualmente; in questo modo alcuni generi possono essere collocati in una zona ma non nell’altra. Dopo la prima fase di preparazione della serra e dopo aver inserito le prime piante, Utopia Tropicale ha iniziato a raccogliere informazioni per capire quali fossero le orchidee tropicali più idonee, provenienti da zone dove a volte si raggiungono gli 0 °C. La serra non ghiaccia perché è completamente esposta a sud, rialzata rispetto al lago di Varese, leggermente in collina; la parte posteriore è in muratura, la metà restante della struttura è in vetro e all’interno sono presenti dei bancali di coltivazione in pietra risalenti all’Ottocento che trattengono calore. Questa sistemazione ha alcuni problemi: a febbraio, se c’è il sole, la temperatura arriva anche a 27 °C di giorno, di notte invece scende a 1 °C con uno sbalzo termico incredibile; se dovesse essere nuvoloso per una settimana con temperature esterne di -5 °C, potrebbero esserci grossi problemi, ma per ora non è ancora successo. Le piante e le stesse orchidee vengono inserite sapendo quali sono le sacche di temperatura presenti in serra, perché ci sono vari strati; quindi una stessa orchidea, che vive bene in un punto della serra, se spostata potrebbe morire. L’esperienza della serra di Utopia Tropicale non viene riportata come una soluzione assoluta, ma vuole promuovere la voglia di sperimentare; è questa la sua forza. In alcuni casi sono stati ottenuti dei risultati totalmente inaspettati,
che apparentemente sulla carta non avrebbero potuto funzionare. In punta di piedi con l’aiuto di Gioele si sono introdotte alcune orchidee più facili, per esempio le Stanhopea. Le Stanhopea provengono dal Sud America e hanno la particolarità sviluppare infiorescenze al di sotto delle radici: sono steli che partono dalla base degli pseudobulbi e scendono, quindi sembra che fioriscono dalle radici. Sono da sempre considerate orchidee da serra intermedia: nelle indicazioni di coltivazione sono indicate per temperature non inferiori ai 14-15 °C, ma durante una gita ai Giardini La Mortella a Ischia sono state notate condizioni pressappoco simili a quelle della serra di Comerio: là molto raramente scende qualche fiocco di neve e le temperature arrivano a +0,5 °C quando fa veramente freddo, mentre normalmente le minime si aggirano in torno ai 3 °C in inverno. Là le Stanhopea sono normalmente coltivate fuori tutto l’anno; si è quindi deciso di provare anche nella serra di Utopia Tropicale inserendo una Stanhopea oculata.

Le piante crescono addirittura meglio che nelle serre di coltivazione: sono in una posizione dove vengono irrigate moltissimo e quindi hanno sviluppato degli pseudobulbi molto grandi e hanno prodotto una fioritura molto notevole: infatti la prima fioritura è stata di nove rami con trentaquattro fiori in totale; le Stanhopea normalmente in coltivazione in serra hanno tre o quattro rami. Poiché la gestione della serra di Comerio riguarda molti generi di piante e moltissime specie, non sono usati protocolli di fertilizzazione o trattamenti specifici, per non causare la morte di piante che convivono con altre, come le felci: si tratta quasi di un abbandono controllato. Le piante vengono innaffiate con acqua sorgiva della montagna senza aggiunta di concimi: la serra fa parte di un antico complesso industriale di Comerio dove una conduttura portava dalla montagna l’acqua per raffreddare i macinacaffè dell’azienda e bagnava anche il giardino. Quindi l’acqua che viene utilizzata per l’irrigazione nella serra è calcarea, ma di raccolta naturale, per cui qualche elemento disciolto c’è sicuramente.

Il Bulbophyllum odoratissimum var. odoratissimum è stato lasciato da Gioele in serra perché non fioriva mai: in effetti proviene da zone dove addirittura sopporta quasi la brina, quindi non è così sbagliato pensare di inserirlo in una serra non riscaldata.  Sulla base del fatto reale si
costruisce la teoria, non il contrario; si può formulare un’ipotesi e poi provare a metterla in pratica, ma, se la pratica determina una cosa
diversa dalle aspettative, va cambiata la teoria. Il Bulbophyllum mai fiorito di Gioele, coltivato in serra a Comerio, si è riempito di fiori.

L’Epidendrum ibaguense in natura è impollinato dai colibrì: gli Epidendrum sono quasi tutte orchidee epifite, ma in Brasile se ne vedono molti coltivati nei vasi fuori dalle case della zona di San Paolo, dove in inverno le temperature arrivano a 0-1 °C. Per questa ragione si è provato a inserire anche questa specie nella serra: per ora non ha fiorito, ma è stata introdotta da un anno circa e quindi dovrebbe fiorire prossimamente. A temperature molto basse la pianta soffre e poi con l’arrivo della bella stagione riparte; c’è da dire che le orchidee in natura non sono perfette, un po’ bruciate e mangiucchiate da qualche insetto, ma sono piene di fiori perché sono nel loro ambiente naturale. Le piante che coltiviamo spesso sono perfette, ma a volte non fanno fiori perché mancano alcune variabili che stressano la pianta, legate alla temperatura, luce, acqua che fanno scattare il fenomeno della fioritura. Tutto questo in natura è normale: è naturale che ci siano degli sbalzi nel clima, ma questi possono rovinare rovinano l’estetica della pianta. Quindi a volte quando le nostre orchidee non fioriscono è proprio perché non vengono sottoposte allo stress necessario per indurle a fiore.

La Cattleya intermedia è stata inserita dopo una verifica sui testi: vedendo la reale distribuzione e le temperature minime in quelle zone si è concluso che poteva vivere in questo tipo di serra. Quando è stato proposto a Gioele di inserire una Cattleya in serra fredda, subito ha avuto qualche perplessità: il problema principale era l’innaffiatura, perché le Cattleya durante la stagione di crescita hanno bisogno di molta acqua, mentre in inverno hanno bisogno di riposo e poca acqua. Simili esigenze erano per Gioele incompatibili con la gestione della serra di Utopia Tropicale, dove sono presenti molte felci e quindi si bagna abbondantemente. In realtà la pianta introdotta ha nuovi pseudobulbi di dimensioni doppie rispetto a quelli precedenti e quindi ha avuto una crescita notevole; per di più ha prodotto un’abbondante fioritura. Dopo questa orchidea, è stata inserita anche una Cattleya loddigesii e prossimamente si testerà la coltivazione di una Guarianthe aurantiaca.

Il Dendrobium kingianum invece è stato inserito senza eccessive esitazioni: è endemico del Queensland, regione del Nord dell’Australia, e del Nuovo Galles del Sud, nella parte meridionale del paese; esistono molti ecotipi diversi, cioè specie adattate all’ambiente. Quelli che vivono nell’estremo Sud dell’Australia hanno pseudobulbi estremamente corti perché fa molto freddo; a mano a mano che ci si sposta verso settentrione invece gli pseudobulbi sono sempre più allungati. Già in coltivazione il Dendrobium kingianum è sempre coltivato in serra fredda: per esempio in Liguria si coltiva tranquillamente fuori tutto l’anno. Questa è stata una delle prime specie inserite nella serra di Utopia Tropicale: coltivato come epifita ha radicato molto bene sui tronchi che lo ospitano.

La Vanda falcata è un’altra specie che sulla carta molto probabilmente avrebbe potuto crescere bene in serra fredda: conosciuta come l’orchidea dei samurai, è una specie giapponese che vive in zone montuose. Ha avuto una fioritura notevole, che normalmente si ottiene in una serra controllato i parametri con particolare attenzione. La pianta, di piccole dimensioni, si è ricoperta di candidi fiori dal profumo delizioso, che si può apprezzare solo nel tardo pomeriggio.

La Coelogyne cristata è originaria di zone prossime all’Himalaya, dove cresce sulle pendici delle montagne e sverna quasi sotto la neve, perde parzialmente le foglie e fa un riposo leggero. Era già coltivata nell’Ottocento come pianta da fiore reciso, dato che poteva essere coltivata in serre non riscaldate. La pianta introdotta ha stupito tutti con un’abbondante fioritura. In estate viene bagnata tantissimo e ha prodotto pseudobulbi di dimensione doppia a quelli precedenti.

A volte il fallimento non è dovuto alla temperatura o alla specie non resistente a quel tipo di ambiente; a volte possono esserci stati errori di gestione o collocazioni non idonee. Se ci sono già dati e notizie che indicano che quella specie può essere coltivata secondo le condizioni della serra di Utopia Tropicale, in caso di un primo fallimento si prova con un secondo tentativo. La filosofia di gestione è quella di cercare sempre la sperimentazione, ma non la forzatura: per esempio, non si è mai pensato di inserire le più comuni Phalaenopsis, che sono per la maggior parte da serra calda. Nonostante ne esistano alcune, come la Phalaenopsis lobbii e la Phalaenopsis parishii, che vivono da determinare la perdita delle foglie, queste piante non possono essere coltivate in serre che arrivano a 1 °C: sarebbe veramente un azzardo e una forzatura. Fino a ora all’interno della serra sono presenti circa 45 specie di orchidee botaniche, di cui nessuna per ora è morta, anche se alcune sono sofferenti: in futuro si dovrà decidere se dichiarare fallimentare la sperimentazione con quella specie oppure se riprovare in una posizione differente. Fino a oggi però sono stati più i successi che gli insuccessi, il che dà ragione alla validità dell’idea ed entusiasmo per andare avanti nel progetto. È stato notato che le specie che normalmente fioriscono in autunno ritardano, perché la temperatura nella serra di Utopia Tropicale a novembre è più bassa rispetto alle comuni serre di coltivazione di orchidee e quindi le orchidee aspettano di fiorire con le temperature primaverili. Tutte queste piante hanno stupito per la loro crescita, perché un conto è sopravvivere e un conto è ottenere risultati superiori o almeno uguali a quelli ottenuti in coltivazione controllata. Lo scopo del progetto è quello di trasmettere la necessità di mostrare rispetto alle piante: non è possibile fornire una lista di orchidee che possono essere coltivate in serra fredda e che sopravvivono sempre a temperature di 1 °C, perché i risultati sono differenti in base al tipo di serra, al luogo dove si trova, alle temperature e all’umidità sicuramente diverse. Piuttosto, l’obiettivo è quello di insegnare una condotta da applicare sia alle orchidee sia a tutte le forme vegetali presenti in giardino: capire e provare a studiare per ogni specie se è possibile l’acclimatamento; se non è possibile non ha senso coltivare quel tipo di pianta.

Articolo: Francesca Castiglione

Foto: Riccardo Cucchiani

 

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